Ulisse, il Ritorno di e con Corrado d’Elia, al Teatro Leonardo dal 30 gennaio al 9 febbraio

produzione Compagnia Corrado d’Elia
ULISSE, IL RITORNO
progetto, drammaturgia e regia Corrado d’Elia
assistente alla regia Sabrina De Vita
con Corrado d’Elia, Raffaella Boscolo, Angelo Zampieri
scene Fabrizio Palla
organizzazione Caterina Mariani
grafica Chiara Salvucci

Dal 30 gennaio al 9 febbraio 2020  – Teatro Leonardo

Durata dello spettacolo: 60 minuti

“Narrami, o Musa, dell’uomo dall’agile mente,
che tanto vagò, dopo che distrusse sacra città di Troia…

Dal 30 gennaio al 9 febbraio Corrado d’Elia, insieme agli attori Raffaella Boscolo e Angelo Zampieri, sarà in scena al Teatro Leonardo di Milano con lo spettacolo Ulisse, il ritorno, di cui cura anche la regia.

Il racconto di Omero è solo il punto di partenza. Lo spettacolo è infatti un viaggio poetico nell’uomo e nell’oggi, una riflessione necessaria sul contemporaneo, sul nostro tempo, sulle nostre utopie e sugli ideali su cui una generazione ha costruito la propria vita e il proprio modo di essere.

Ecco che dunque la necessità di “tornare a casa” vuole dire innanzitutto tornare a noi stessi, a quello che più ci appartiene, a quello che davvero siamo e che forse col tempo ci siamo dimenticati di essere. Tornare all’inizio, dunque, al nostro primo sguardo, ai nostri primi ricordi, per comprendere come eravamo e come avremmo forse in altro modo dovuto essere.

Tre personaggi, tre naufraghi della vita che, in uno spazio che è insieme teatro, imbarcazione e sala da ballo, raccontano la propria storia, mentre presente e passato si confondono in un’atmosfera onirica e malinconica.
Sullo sfondo il continuo rimando ai personaggi di Omero, ma soprattutto alle atmosfere profonde e poetiche dei film di Theo Angelopoulos, regista greco scomparso, cui è dedicato lo spettacolo.

Ancora un grande omaggio di Corrado d’Elia al teatro e alla sua forza vitale, impulsiva e purificatrice.

ULISSE, IL RITORNO – note allo spettacolo di Francesca Interlenghi
E’un lungo piano sequenza dalla consistenza cinematografica quello in cui scorre la vicenda dell’Ulisse contemporaneo messo in scena da Corrado d’Elia. Un segmento narrativo teso a riprodurre la complessità di un viaggio metaforico, il viaggio dell’uomo verso la conoscenza, accorciando le distanze tra reale e surreale, tra verità e rappresentazione e rendendo omaggio al teatro, alla sua forza vitale e dirompente. Nel mezzo di un’atmosfera suggestiva, in una scenografia fatta di piccole luci capaci di creare spazi mutevoli di colore e di esistenza, fatta di tavoli e sedie alla maniera di una volta, si muove un Ulisse frastornato, immerso nella fatica del ricordare. Uno spazio in cui le vicende di un ipotetico esterno si mischiano senza soluzione di continuità con quelle di un onirico interno, in un luogo che è al contempo nave, la nave dei folli, teatro e sala da ballo. Dedicato al grande regista cinematografico Theo Angelopoulos lo spettacolo ne riprende le tematiche, i suggerimenti emotivi, rievocando l’idea dei Balcani, l’esilio, la separazione, il viaggio, il dissolversi delle utopie. E il moto esausto dell’uomo attraverso l’acqua, i fiumi, i confini. La narrazione si compone di un’architettura a più strati in cui la storia di un Ulisse contemporaneo si intreccia con quella di un attore che torna a casa mentre scrive uno spettacolo che si sta rappresentando proprio in quel momento lì. E i fatti di tre naufraghi della vita si intrecciano in maniera indissolubile con il tema del ricordo, con l’ossessione del ricordare tanto cara a entrambi i registi. Proprio come nel film di Angelopoulos “Lo sguardo di Ulisse” il fotografo voleva ritornare a vedere le prime immagini, le prime foto scattate nella sua Grecia, anche questo moderno Ulisse non perde occasione per cercare i ricordi, per interrogarsi sugli spazi di oblio che nel viaggiare hanno fagocitato persone e sentimenti senza distinzione alcuna. Non un viaggio geografico ma un viaggio che muove dalle parole, perché in origine era il verbo. Un viaggio che è un ritornare a sé stessi, a quello che più ci appartiene, all’essenza di noi. Un viaggio che è racconto poetico e malinconico dell’uomo e dell’oggi. Un viaggio nel labirinto immaginario che scorre tra i due livelli di lettura cui si presta l’Odissea, quello esoterico, il nostro bisogno di crescere nell’idea di Dio o nell’idea di sapienza, e quello essoterico fatto di materialità che tutto inghiotte. Le persone con un occhio solo, quelle senza profondità, in fondo le incontriamo tutti i giorni. Sta a noi decidere se sostare in superficie o andare a fondo per trovare le corrispondenze. Un viaggio che non ha fine perché la fine è l’inizio ripete spesso questo Ulisse. A significare che la ricerca della perfezione è nell’imperfezione stessa, a dire che le cose si rompono per poi ritornare sotto altra forma. La storia stessa dell’uomo è come un cerchio che si chiude per riaprirsi ancora.

Alla fine probabilmente chiudere il cerchio toccava a me, era compito mio, ero io che non dovevo fare niente altro se non dire i miei ricordi. In questo spettacolo sono io che racconto di mia madre, di quando era sfollata, di quando poi è morta, l’incontro nell’Ade come fosse uno spazio temporale capace di mettere in relazione i vivi con i morti. Il mio è un racconto che parte da materiali propri e intimi, da cose vere, fatti realmente accaduti. In cui c’è sempre in qualche modo la translitterazione delle persone. C’è Ulisse ma Ulisse è anche Telemaco. C’è un’unica donna, che rappresenta tutto. Lo spettacolo è come sono io. Dove uno è tutto sempre.