La Grande Abbuffata, dal 10 al 20 febbraio 2022 al Teatro Fontana di Milano

TEATRO FONTANA – 10 – 20 febbraio 2022
LA GRANDE ABBUFFATA
DALL’OMONIMO FILM DI MARCO FERRERI
DRAMMATURGIA DI FRANCESCO MARIA ASSELTA, MICHELE SINISI
SCENOGRAFIA FEDERICO BIANCALANI
DIREZIONE TECNICA ROSSANO SIRAGUSANO
DISEGNO LUCI IVAN DIMITRI PILOGALLO
CON STEFANO BRASCHI, NINNI BRUSCHETTA, GIANNI D’ADDARIO, SARA DRAGO, MARISA GRIMALDO, STEFANIA MEDRI, DONATO PATERNOSTER, ADELE TIRANTE
REGIA MICHELE SINISI
AIUTO REGIA NICOLÒ VALANDRO
PRODUZIONE ELSINOR CENTRO DI PRODUZIONE TEATRALE, TEATRO METASTASIO DI PRATO

Sono presenti scene di nudo integrale

Elsinor Centro di Produzione Teatrale e Teatro Metastasio di Prato presentano il primo adattamento teatrale del film La grande abbuffata, con una drammaturgia inedita firmata dal regista Michele Sinisi e da Francesco Maria Asselta.

Fischiato al Festival di Cannes dalla critica per la sgradevolezza e la volgarità pornografica delle immagini, il film di Ferreri ebbe invece un incredibile successo di pubblico, inusuale se si considera la forza eversiva e antiborghese dei suoi contenuti. 

Le atmosfere di un film controverso di Marco Ferreri, incubatore di temi scomodi e tessitore di incubi che ancora ci riguardano, si riverberano sul palco nella vicenda di quattro uomini liberi e gaudenti che programmano la propria morte in un’orgia di cibo e sesso, diventando potente allegoria di una società votata all’abbuffata indiscriminata di informazioni, di prodotti, di opinioni, di fatti, di realtà divorata dal virtuale e viceversa. Uno spettacolo fisico e catartico che matericamente ci conduce a riflettere su bisogno e desiderio e sui fantasmi della noia e dell’impotenza.  

Insieme a Francesco M. Asselta, il regista Michele Sinisi opera una riscrittura della sceneggiatura originale costruendo un sovrabbondante ipertesto scenico tramato di tensioni e contraddizioni, come il nostro presente che pare destinato alla consumazione compulsiva e in cui i corpi/organismi sembrano poter riprendere possesso del presente solo tornando ad una esistenza puramente fisiologica.

Su una scena scarna e postindustriale, in cui si allestisce la grande soirée/la grande bouffe su un tavolo da obitorio, tra una cucina rudimentale e celle di acciaio a ospitare corpi in esposizione, assistiamo ad una contaminazione continua tra palco e platea, ad un’iperproduzione di segni e

linguaggi diversi in cui fanno incursione video, file audio pescati dalla rete, jingle pubblicitari in una continuità che ne annulla i significati.

Un’esplorazione parossistica dell’osceno che dialoga ironicamente con la narrazione televisiva, la fiction, la pornografia dell’immagine e, in sintesi, con il nostro presente.

E così i personaggi che abitano la scena entrano ed escono dalla parte, mettono in discussione la trama, fanno e disfano battute, improvvisano ricordando allo spettatore di essere prima di tutto attori, impegnati in una ricerca creativa che va ben al di là della semplice finzione.

Partendo dal presupposto che il teatro debba prima di tutto curiosare nella zona della verità ed essere specchio del presente – per dirla con il regista – Michele Sinisi allestisce lo spettacolo proprio sulla scia dell’esperienza vissuta negli ultimi mesi: “Durante il lockdown sono saltati i confini del concetto di rito – afferma Sinisi – ricominciare come se nulla fosse successo è impensabile. Abbiamo accettato la violenza del teatro in streaming e non ci siamo resi conto che l’assenza del teatro era il teatro stesso. A questo punto per me si è reso necessario ripensare al linguaggio teatrale ed esplorare nuovi codici comunicativi”.

NOTE DI REGIA
La Grande abbuffata è un racconto umano e artistico nel senso più concreto. Gli interpreti dello spettacolo sono, come nel film, presenti coi loro stessi nomi, per chiarire ulteriormente il risvolto umano dell’opera sul pubblico, così come volle Ferreri. L’obiettivo dell’autore era farne lo specchio del tempo, in cui la società occidentale evidentemente mostrava i segni dello sgretolamento, in cui la struttura storica e le radici del suo stesso pensiero conclamavano il principio della fase dissolutoria. Tutto questo è passato non però attraverso una narrazione pedante, moralizzante, né tantomeno per il tramite di una provocazione esibita in modo pretestuoso e gratuito. Il calore dell’amicizia permette ai quattro personaggi di condividere l’aspetto primordiale della vita ch’è semplicemente il sentirla al cospetto della morte, il momento della reale libertà di ognuno. Quella sicurezza, quella bellezza dello stare assieme senza giudizi, permette loro di riappropriarsi del presente in totale contatto con gli aspetti fisiologici della nostra esistenza: mangiare e fare sesso. In questo patto tra i quattro si assiste a ciò che il mangiare e il sesso sono già diventati per la società dell’epoca (si parla del 1973): hanno chiaramente assunto una funzione diversa dal naturale ruolo nutritivo e riproduttivo, son divenuti culturalmente segni opulenti dell’attestazione del potere, del desiderio di conquistare la vita e di comandarla, di governarla in assoluto governandone anche la fine. Questa relazione è metafora di un’abbuffata progredita oggi, ad esempio, nella consuetudine con cui un reportage su catastrofi naturali, su fatti di cronaca sconvolgenti, sono intervallati da pubblicità di prodotti di consumo e subito dopo da richieste di aiuto per popolazioni del terzo mondo da parte di onlus che fatturano a 7 zeri grazie all’offerta catartica per il nostro senso di colpa. Questo, oggi come allora, avviene ad una velocità e con uno stordimento tali per cui l’aspetto fisiologico cede il passo ad un ingurgitare ansioso e inquieto. Si è schiacciati dalle nostre possibilità, la spettacolarizzazione dell’esistenza riflette all’infinito le opportunità di scelta rendendoci privi di fondamento naturale. La voglia e il desiderio indotto dal sistema culturale annullano ogni contatto con l’esistenza fisiologica, così come tra azione e responsabilità, e si vive in una bolla per cui il dolore e la necessità dell’aria, quanto l’amore e il sesso, diventano occasioni rivoluzionarie difficili da gestire tanto quanto il mistero del primo vagito di un neonato. Arriviamo alla teorizzazione dell’attimo e del principio di ogni agire, abbracciando un’ignoranza vitale e biologica tale per cui l’istinto selvaggio sbocca in un accumulo mostruoso e autodistruttivo di ogni frammento di accadimento panico.

La scena è lo spazio per l’esperienza che i quattro amici hanno deciso di vivere. Il piacere assoluto del mangiare e del sesso è tale per cui la vita stessa di ciascuno non può sopportare tanta conoscenza. È il corpo a riprendere possesso del presente, lì dove la testa è arrivata ad invadere ogni spazio vitale. Il sapere dell’essere umano mi interessa per il modo con cui coinvolge il corpo nel momento della sua stessa trasmissione, nell’atto della condivisione di ciò che si è imparato e s’è capito. C’è un punto in cui il corpo e la mente vivono insieme la consapevolezza di ogni istante che passa. Forse lì si nasconde il naturale senso del tutto, che da quando abbiamo cominciato a ragionare ci fa dire Dio, fortuna, destino, speranza, paura e felicità e altre parole simili.
Michele Sinisi

TOUR 2022
25 – 27 febbraio, Teatro della Tosse, Genova
2 – 6 marzo, TeatroBasilica, Roma