La Grande Abbuffata: al Teatro Fontana la versione di Sinisi analizza i disagi di una società consumistica

E’ in scena fino al 20 febbraio al Teatro Fontana di Milano lo spettacolo “La Grande Abbuffata“, per la regia di Michele Sinisi, tratto dall’omonimo film di Marco Ferreri, che è rimasto nella memoria collettiva: la ricerca della morte nell’eccesso di cibo, di sesso, di lussuria, di opulenza. Un’autodistruzione vestita da baccanale sfrenato e inquietante.

Per altre notizie sullo spettacolo, cast, date, orari e prezzi, vedi l’articolo di presentazione.

LA RECENSIONE
Anche nella versione teatrale, rivisitata da Michele Sinisi, i nostri sensi sono messi a dura prova.

L’olfatto, colpito da un forte odore di soffritto di scalogno, risultato di un piatto di fettuccine cucinate sul palco e servite su un lugubre tavolo da camera operatoria o, forse più appropriato, da obitorio. Quella che potrebbe sembrare una cucina essenziale, priva di decori e accessori, si trasforma nella location per la preparazione di quei cibi che, ingurgitati a dismisura e offendenti qualsiasi dieta salutista e moderata, saranno l’arma letale per i 4 amici.

La vista è catturata da un filmato di un maiale e del mattatoio che ne procura la morte; “del maiale non si butta via niente” fa da incipit al filo conduttore dello spettacolo: l’eco relativista del “tutto si crea, tutto si trasforma” produce suoni intestinali che fanno da grancassa a ciò che è entrato in un fisico già provato da una vita disordinata.

Non solo: la vista è spettatrice di una carrellata di corpi nudi o seminudi maschili e femminili e porta a riflessioni sulla sessualità trasgressiva, sfogo e non piacere del corpo e delle mente.

Dei 4 amici, uno solo non avrebbe voluto aggiungere il sapore piccante del sesso sfrenato, organizzato dalle donne uscite da grandi frigoriferi; egli stesso non rifiuterà questa opportunità, vestita diversamente, ma pur sempre concitata e oltremodo mimata nei suoi intimi movimenti.

L’udito non trascura il suo compito: segue le parole delle canzoni di Gino Paoli, i brevi dialoghi (a volte disturbati da un’imperfetta ricezione acustica), i ripetuti riferimenti alle categorie erotiche e pornografiche, i sospiri e i gemiti di donne “in calore” e i lamenti di uomini scontenti delle proprie prestazioni.

Il tatto, in senso lato, permette di toccare con mano la frustrazione della vita che porta al desiderio di una morte negli eccessi, quasi immisurabili, improponibili, devastanti…

Cosa si cerca nel momento della morte?

Per alcuni, la conclusione “in bellezza” di una vita vissuta nella realizzazione dei propri incanti e desideri, sapendo, a volte, dove si andrà…

Per altri, lo sfogo di una vita poco soddisfacente: una morte che oltraggia la vita e la sfida fino all’ultimo, decidendo di soppiantarla con l’ennesimo gesto sconsiderato.

Un palcoscenico con pochi arredi diventa affollato di donne, uomini, oggetti simbolici, uno schermo, canzoni, una vespa (“se hai la vespa, mangi la mela”… trasgressione di Adamo ed Eva??), majorette, entreneuse e… un protagonista passivo solo strutturalmente: un water che funge da sgabello, da altare, da vulcano eruttante una schiuma aggressiva e invadente paragonabile a ciò che è entrato negli intestini dei 4 uomini. Lo stesso si potrebbe dire di tutto ciò che nella vita ha riempito, ma non è mai stato assimilato per rinforzare e irrobustire il trascorrere di un tempo che non sia sprecato.

Michele Sinisi ha riproposto, in una chiave più aggiornata, i disagi di una società consumistica e oppressa da troppi/troppo pochi valori e da situazioni al di sopra della capacità di superarle. Le mascherine indossate all’inizio dello spettacolo dagli attori attualizzano ogni scena e ne forniscono una visione tradotta in tempi moderni che, purtroppo, non sono migliori.

Uno spettacolo anticonformista, a tratti esasperato, specchio di una realtà imbruttita.