Al teatro Menotti fino al 27 novembre in scena ‘MISERY’, per la regia di Filippo Dini – recensione

Il pluripremiato sceneggiatore e drammaturgo William Goldman trasforma il romanzo Misery di Stephen King,  pubblicato nel 1987, in una sceneggiatura cinematografica utilizzata per il film omonimo del 1990 divenuto di culto.

La storia la conosciamo tutti: Annie Wilkes, donna sola e con gravi disturbi di bipolarismo, segrega all’interno della sua casa il suo amato Paul Sheldon, famoso scrittore di una serie di libri che hanno accompagnato la vita della donna.

In scena nei panni dello scrittore Aldo Ottobrino, nel ruolo dell’infermiera disturbata, Arianna Scommegna e Carlo Orlando nel ruolo dello sceriffo, con musiche di Arturo Annecchino, scene e costumi di Laura Benzi, luci di Pasquale Mari (insignito per questo lavoro del premio Ubu 2021), trucco di Cinzia Costantino e con la traduzione di Francesco Bianchi.

Per altre informazioni sullo spettacolo, date orari e prezzi vi rimandiamo al nostro articolo di presentazione.


Lo spettacolo è un po’ altalenante,
oscilla tra momenti di tensione e situazioni divertenti che un po’ smorzano le sensazioni di inquietudine. Questi momenti fatti di battute umoristiche, rendono il racconto meno avvincente, più parodistico che realistico, creando un senso di disorientamento nello spettatore facendo calare un po’ l’attenzione.

Infatti, i due atti di cui è composto la pièce sono lunghi e molto intensi di parole, movimenti e accadimenti. L’inserimento dello black humor che genera la risata, destabilizza lo spettatore che non empatizza con il sentimento che dovrebbe essere quello preponderante in questa storia: l’angoscia.

I tre attori interpreti sono molto espressivi e reggono la scena egregiamente e, anche quando ci sono stati imprevisti, sono riusciti a improvvisare rimanendo in linea con il personaggio e coerenti alla regia che gli è stata data.

Menzione speciale per la scenografia:
una casa in perfetto stile Van Gogh, non tanto nei colori quanto nella prospettiva, racchiude i due protagonisti. La sensazione claustrofobica è permanente per tutto il racconto. Una riproduzione e un allestimento attentissimo alle linee, alle luci e ai particolari. Davvero un effetto ipnotico. Ho avuto la fortuna di apprezzare la scena da due punti diversi del teatro, cambiando poltrona tra un atto e l’altro, e questo mi ha fatto apprezzare di più il lavoro meticoloso fatto.

Finale stupefacente per il coinvolgimento del pubblico in sala che diventa parte integrante dello spettacolo inconsapevolmente e senza neanche accorgersene. Davvero un bel modo per lasciare il segno prima della chiusura del sipario.