Recensione ‘Fine Pena Ora’: uno spettacolo intenso e profondo, in scena all’Elfo Puccini di Milano

E’ in scena fino al 14 maggio al Teatro Elfo Puccini di Milano lo spettacolo ‘Fine pena ora’ di Elvio Fassone – adattamento e regia Simone Schinocca con Salvatore D’Onofrio, Costanza Maria Frola, Giuseppe Nitti.

Per altre informazioni sullo spettacolo vedi il nostro articolo di presentazione.

LA RECENSIONE
Un palco poco illuminato, un uomo abbandonato a se stesso sdraiato su una branda… una cella essenziale, nulla di personale… Il vuoto come elemento comune e scontato della mancanza di libertà. L’eco del giudizio:” E quel che si merita; ha così tanti delitti da scontare, alcuni conosciuti, altri sconosciuti alla legge… lì è il suo posto”.

Ecco il peso che lo tiene “incollato” a una forma di passività quotidiana, quel sentimento che lo congela per non prendere posizione contro una vita così amara.

Tre personaggi: lui, Salvatore/ Salvatore D’Onofrio , ergastolano (Fine pena: mai, recita la sentenza, con l’obbligo di specificare la data 9999); lei, Rosi/ Costanza Maria Frola (non con y finale, ma i altrimenti è un’altra persona), l’amore che lo segue nelle diverse città dove Salvatore viene trasferito e interpreta ruoli di “servizio” durante tutto lo spettacolo; l’altro il Presidente/ Giuseppe Nitti (magistrato e ex componente del Consiglio superiore della Magistratura).

Dialoghi che da raccolta epistolare diventano confronti di tre mondi in parallelo che non possono incontrarsi mai, se non nel sentimento e nel rispetto. Sì anche un ergastolano merita un rispetto per ciò che è, aldilà di ciò che ha commesso.

La giustizia è stata applicata, il verdetto è stato emesso, ma non basta legiferare… a volte l’universo che ruota attorno è altro: “Presidente, io lo so che lei mi ha dato l’ergastolo perché così dice la legge, ma lei nel suo cuore non me lo voleva dare…”. E’ una cassa di risonanza nella sensibilità del Presidente: non può abbandonare “quel delinquente” nella profondità di un carcere. Nascerà qualcosa di speciale: il libro “Siddharta” in regalo a Salvatore che lo usa prima come ventaglio o gioco da lanciare e solo in seguito ne capirà il motivo trainante di “Mai un uomo è interamente santo o interamente peccatore” . E’ l’incipit a non mollare… “dovunque tu sia, in qualunque circostanza tu sia, devi vivere come se non dovessi morire mai”: cantilena ripetuta da Rosi e Salvatore per aggrapparsi a una speranza vestita di illusioni e disillusioni. Il Presidente sarà amico, consigliere, insegnante, severo e comprensivo; guarderà i giorni che passano, cogliendone anche i piccoli segnali di ripresa.

Ciò che viene scansito è il senso della giustizia, quella che condanna e quella che non chiude le porte: una sorta di giustizia giustificante che porta verso un orizzonte di studio, di lavoro, di desiderio di migliorarsi. In Salvatore si aggiunge un’altra giustizia: l’etica comportamentale di rinuncia alla diminuzione di pena, per non agire da “pentito”, esponendo i suoi mandanti, molto più agguerriti nelle situazioni di mafia. Sconterà fino all’ultimo i suoi e i loro delitti ma non sarà un “traditore”. “Quelli nati come me o muoiono ammazzati o vivono in galera”: questa è realtà. In alcuni tempi più morbida e accettabile anche in reclusione, in altri costrittiva, occlusiva, emarginante e durissima, come con regime carcerario del 41 bis, dal quale anche Salvatore sarà fortemente penalizzato.

E quindi… “Se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso lui era in carcere e io potevo essere un avvocato, anche bravo…”. Entra in gioco una giustizia “assoluta”, che va oltre la legge, entra nell’ordine di vite con opportunità diverse, che portano qua o là, con queste o quelle compagnie e destinano a un futuro non sempre governabile.

La scenografia (grazie a Sara Brigatti e Florinda Lombardi) offre uno spunto interessante con l’uso di corde, appese e spezzate da nodi che ne permettano lo scioglimento e la caduta a terra: immagine delle sbarre che man mano diminuiscono con gli anni che passano, che creano varchi da attraversa nelle uscite straordinarie per la morte vicina della madre o per buona condotta. Fa paura quel cielo grande dopo averne vissuto un piccolo rettangolo chiaro nel buio della cella… incontri con la famiglia e finalmente un momento di amore passionale con la sua Rosi, che presto non sarà più sua e lascerà in ricordo un’altra corda con tantissimi nodi, sciolti uno al giorno per scandire il passare dei giorni; sarà anche lo strumento per tentare di mettere fine all’agonia delle promesse di uscita per lavoro o semilibertà. “Se ti dicessi che non aspetto più?” Fa eco un insegnamento prezioso uscito dal cuore del Presidente per un riscatto pagato a caro prezzo: “C’è una libertà che non ci importa niente delle sbarre e dei cancelli… la mente di un carcerato cerca nell’infinito dei desideri, passeggia con la fidanzata e, se non c’è, si inventa; corre al mare e nuota, sentendo il fresco dell’acqua…”  E allora: Fine pena ora!

E’ facile dare un seguito a storie di eroi, più difficile trovare l’eroismo in chi ha provocato la vita fino a subire una sconfitta. Con questo spettacolo si esercitano le coscienze a vedere la sicurezza sociale non come unico elemento della detenzione, ma a rinnovare alcuni aspetti di un sistema, senza dimenticare il percorso umano dei condannati.

Lavoro catalizzante… ogni parola lascia un segno: forza, emozione, sentimento, passione…  Alla morte si contrappone la vita, anche la più dura!

Super consigliato anche ai meno giovani, che vivono realtà diversificate, alla ricerca di giustizia!!