LA RECENSIONE
L’incipit del racconto vede Edipo (Vincenzo Grassi) non più re; un uomo battuto dalla vita per volere degli dei a lui avversi; cieco, stanco di trascinare se stesso e le quattro cose che gli appartengono. Cerca riposo in un paesaggio desolato con, in primo piano la sabbia, unica a mantenere l’impronta del suo passaggio. Pochi arredi, solo l’essenziale, a cornice di un susseguirsi di eventi così intricati e maledetti da non necessitare di altro per sottolineare i paradigmi della tipica tragedia greca (ciclo tebano di Sofocle). I pannelli di legno grezzo che ne delimitano la scena, servono da schermo per la proiezione di immagini inquietanti, preludio di catastrofe e disgrazia.
La presenza del coro, con 3 uomini scuri di abito e di presenza, con occhiali da metalmeccanico o aviatore, è una voce di accusa, di sintesi, di spinta, di memoria, di dolore e cordoglio.
Edipo avrebbe potuto essere re di Corinto, credendosi figlio di Polibo (re di Corinto) e di sua moglie Peribea, ma gli dei già si stavano organizzando contro di lui: riceve la predizione che avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre e decide di andarsene lontano, dirigendosi verso Tebe, per far sì che questa profezia sventurata non si avveri.
La realtà è che la stessa malasorte è stata presentata a Laio (re di Tebe) e a sua moglie Giocasta, veri genitori del miserabile Edipo; essi, per evitare il dramma, ordinano di uccidere il neonato a un servo, il quale, impietosito, lo affiderà a quelli che saranno i genitori “adottivi”, perchè non possono avere figli.
L’incontro tra Laio ed Edipo è davvero funesto: nessuno cede il passo all’altro, ne nasce una disputa, durante la quale, il re di Tebe rimane ucciso… il gioco degli dei prosegue senza possibilità di bloccarlo da parte degli uomini. Il racconto, a tempi scambiati, di Edipo e del coro è concitato, un crescendo di tensione fino ad arrivare a Tebe, dove ad attenderlo c’ è la Sfinge, un mostro con la testa di donna e il corpo di leone. Anche questo personaggio colpisce per il costume dettagliato , con unghie affilate e aggressive, particolare molto rappresentato anche dagli espositori del foyer. Usa un linguaggio gracchiante e minaccioso, fino a elaborare il suo enigma, dalla cui soluzione dipende la vita o la morte di Edipo. “Chi è quell’essere che cammina prima con quattro gambe, poi con due gambe e, infine, con tre?” La risposta esatta , “l’uomo” provocherà la sconfitta della sfinge, che si getterà da un dirupo, e l’incoronazione di Edipo come re di Tebe, sposando la vedova di Laio. Interessante notare come gli indumenti di Edipo cambino, seguendo il suo stato sociale: dall’essenzialità di una mutanda coprente, alla fastosità delle vesti regali, fino all’esaltazione del suo ruolo da regnante con Giocasta, entrambi penetrati in enormi costumi da re e regina (grazie ad Antonio Marras).
Il coro e Giocasta hanno un ruolo di grande accompagnamento e incollano i frammenti della terribile trama divina, ordita sulla vita di Edipo, che subito sarà spinto nella successiva impresa: salvare il suo popolo da una epidemia mortale, interrogando l’oracolo di Delfi. Ecco esplodere un’altra bomba… L’assassino del re Laio è ancora impunito ed è responsabile dell’ira degli dei. Tutto è arrivato al culmine.. viene rivelata la paternità, il suo nome quale assassino, l’incesto con sua madre. Entrambe le profezie si sono compiute. Giocasta si impiccherà ed Edipo si provocherà la cecità, ponendo un limite a tutta la sua vita futura.
Ogni attore ha saputo superare il proprio ruolo di interprete, ha rivisto la storia in modo proprio, esaltando espressività e movimenti corporei, tanto da portare gli spettatori a prevedere l’evento tragico in arrivo. Si tratta davvero di una favola nera, come si legge dal titolo dell’opera: raccontata sotto forma di narrazione, non ha previsto un lieto fine o, almeno , una chiusura accettabile per l’uomo. Quel re che aveva deciso di abbandonare Corinto e scongiurare la minaccia che incombeva sulla sua famiglia, si trova come pedina nelle mani di dei capricciosi e crudeli. Non è solo la sua vita a essere messa a dura prova, ma tutti i personaggi hanno avuto motivo di dolore e disperazione.
L’eccellenza dello spettacolo sta nell’aver catturato da una tragedia classica l’attualità della vita. Bruni e Frongia, coproduttori hanno condensato passaggi della letteratura su solo quattro attori (Edoardo Barbone, Ferdinando Bruni, Mauro Lamantia e Vincenzo Grassi), tutti uomini anche per l’interpretazione dei ruoli femminili, uniti, collaboranti, sinergici nel creare ponti di scena imperdibili. Le maschere e la flessibilità vocale non hanno fatto sentire la mancanza di attori specifici per ogni ruolo, anzi hanno racchiuso il mondo della tragedia in poche presenze accattivanti,
Consigliabile a tutti gli studenti e i docenti che affrontano il mondo greco, ma adatto a tutti coloro che vedono nel teatro antico un trampolino per raggiungere la modernità sia artistica che sociale.
INFO:
Teatro Elfo Puccini,
sala Shakespeare, corso Buenos Aires 33, Milano
Durata spettacolo: 1 ora 15
Orari: martedì, mercoledì, giovedì e sabato ore 20.30
venerdì ore 19.30 | domenica ore 16.00
Prezzi: intero € 34 / <25 anni € 15 / >65 anni € 18 / online da € 16,50
Biglietteria: tel. 02.0066.0606 – biglietteria@elfo.org – whatsapp 333.20.49021