Tre piccoli drammi scritti con mano leggera dall’autore russo, che, togliendo la “pesantezza” espressiva del teatro drammatico di fine ‘800, riprende il genere vaudeville di tocco francese, per portare in scena la drammaticità della vita, ma in chiave ironica: il dualismo tra dolore e ilarità, tra tragedia e cinico, che fanno parte del poliedrico essere umano.
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RECENSIONE
3 atti unici, separati solo dalla chiusura del sipario per permettere il cambio di allestimento della , (grazie a Ferdinand Woegerbauer):
ne “L’orso”, un salotto mesto e poco accogliente, con le sedie disposte come per essere pulite, piuttosto che attorno a un tavolo, in segno di accoglienza e convivialità. Ben inserita in questo habitat lugubre, la protagonista (Maddalena Crippa) piange la morte del marito e gli promette fedeltà, malgrado i suoi tradimenti e maltrattamenti. Abito da lutto, espressione addolorata e inconsolabile, anche dai tentativi del vecchio cameriere (Sergio Basile), nella sua livrea di servizio. L’ospite inatteso quanto indesiderato (Alessandro Sampaoli), avvolto nel suo pastrano di pelo, rozzo quanto i suoi modi, rompe gli schemi, porta alla luce il vero carattere dei personaggi: un cameriere che da consigliere saggio diventa un implorante uomo sottomesso, una donna depressa che si trasforma in guerriera e duellante, un uomo/orso che da aggressivo svela un romanticismo nascosto.
ne “I danni del Tabacco”, è un’aula essenziale ad accogliere il professore (Gianluigi Fogacci), emblema del borghese dell’800; una lavagna specifica l’argomento del tabagismo, dei danni che provoca alla salute umana… il cinismo sta nella dichiarazione, frammentata in serrati momenti sofferti, di sperare che questi danni lo portino velocemente alla morte, come fuga da una vita che non sopporta più, tra umiliazioni e pressioni da parte della moglie e delle figlie. Nel suo abito da cerimonia, consunto quanto il suo stato d’animo, rivela una debolezza toccante, che porta a condivisione emotiva.
ne “La domanda di matrimonio”, un salottino di casa ospita un padre in divisa (Sergio Basile) il timido e possidente pretendente (Alessandro Averone) alla mano di sua figlia (Emilia Scatigno). Ambiente nitido per mettere in risalto i singoli attacchi e controversie per i motivi più futili, che rischiano di minare la riuscita di un possibile matrimonio. La divisa, espressione di autorità, del padre si contrappone all’eleganza da occasione del giovane, che trova nelle vesti casalinghe della ragazza la manifestazione dei ruoli che le competeranno anche dopo le nozze.
I costumi specifici (grazie ad Anna Maria Heinreich) e gli arredi sono così partecipi di ogni scena, completando le molteplici sfaccettature che il regista ha saputo risaltare in ogni protagonista. È’ il caso di dire che “l’abito fa il monaco”!
3 atti unici accompagnati dalle note di un valzer e del can can, quali annuncio degli argomenti che verranno: 3 analisi diverse della vita coniugale, la vedovanza, la fine della sopportazione di tutte le angherie subite e un matrimonio che “sa da fare”???
Le “crisi di nervi” sono il trait d’union di questi tre mini drammi. L’esplosione tremante del creditore, supportata da molteplici tic neurologici, aggredisce la vedova che, dalla sua compostezza luttuosa, tira fuori energie inimmaginate e, a sua volta viene attaccata dall’ansia nevrotica della perdita del marito prima e del pretendente poi. Il professore derelitto saltella agitatamente da un angolo all’altro dell’aula per non essere tenuto sotto controllo dalla terribile e prepotente moglie; toglie la giacca, come a spogliarsi della sua immagine e portare in vita una ribellione latente. Il pretendente arriva già con un bagaglio di attacchi d’ansia che colpiscono visibilmente anche il suo fisico, motivo di derisione da parte del padre e della figlia, ma anche “infettivo”e trasmissibile, tanto da colpire la ragazza che sbotterà in più riprese in crisi deliranti e incontenibili.
L’eccellente lavoro di Cechov è stato abilmente elaborato da Peter Stein, con la collaborazione di Carlo Bellamio, nella resa dell’attualità, malgrado la diversa ambientazione nel tempo. Temi sempre presenti nell’umano svolgersi della vita, che alterna momenti di pace a momenti di battaglia interiore. La forza dello spettacolo sta proprio nell’affrontare dinamiche importanti con una connotazione di ironia dell’essere, in chiave comica e pungente. Gli attori, chi fragile, chi frizzante, chi camaleontico, hanno lavorato in perfetta sinergia tra loro e con il regista, costruendo un insieme che ha raggiunto tale obbiettivo e lo ha trasmesso al pubblico, complice di ogni passaggio scenico.
Spettacolo super consigliato per la sobrietà e per la capacità di rendere partecipi del dolore e della comicità di tutti i personaggi. Adatto anche alle scolaresche che, finalmente, potranno “sdoganare” Cechov in una modalità trasgressiva.