Con la sua scomparsa, avvenuta questa mattina alle ore 7,35, si chiude una delle stagioni più significative del pontificato moderno. Papa Francesco ha lasciato un’impronta indelebile nella Chiesa cattolica e nella coscienza del mondo, grazie a uno stile pastorale unico e a scelte capaci di segnare una svolta.
Eletto il 13 marzo 2013, Jorge Mario Bergoglio è stato il primo Papa gesuita, il primo latinoamericano, il primo a scegliere il nome di Francesco. Fin dal primo saluto dalla loggia di San Pietro – semplice, disadorno, con un inchino per chiedere la preghiera del popolo – ha indicato la direzione del suo pontificato: sobrietà, vicinanza, misericordia.
Papa Francesco ha incarnato una Chiesa “in uscita”, come amava definirla: non autoreferenziale, ma immersa nella vita concreta delle persone. Ha rinunciato agli appartamenti papali, ha vissuto nella residenza di Santa Marta, ha scelto di stare tra carcerati, migranti, poveri. Con gesti eloquenti più delle parole – pur sempre incisive e accessibili – ha restituito un volto umano e compassionevole al papato.
Durante gli anni del suo pontificato, Francesco ha affrontato temi delicati e scottanti: la riforma della Curia romana, la trasparenza economica, la lotta agli abusi sessuali, il dialogo interreligioso. Ha dato impulso a sinodi e consultazioni, ascoltando le periferie del mondo e le voci spesso ignorate dentro la stessa Chiesa.
Con l’enciclica Laudato si’, ha lanciato un accorato appello per la tutela dell’ambiente, diventando un punto di riferimento anche per la comunità internazionale. Ha promosso una fratellanza senza confini, denunciando con forza le ingiustizie, le guerre dimenticate, un sistema economico che esclude i più deboli.
Ha voluto una Chiesa meno giudicante e più accogliente, capace di accompagnare le fragilità umane. Ha parlato di discernimento, ha rimesso al centro la coscienza individuale, ha indicato la via della misericordia come risposta alla complessità del presente.
Papa Francesco ha viaggiato in luoghi difficili e simbolici: dall’Iraq al Sud Sudan, dalla Mongolia agli Emirati Arabi, costruendo ponti con l’islam, con l’ebraismo, con l’umanità tutta. Sempre al fianco degli “scartati”, dei dimenticati, degli invisibili.
Il suo desiderio era essere ricordato semplicemente come “un buon prete”. Niente monumenti, niente trionfalismi. Solo servizio, silenziosa dedizione, umiltà evangelica. La sua eredità, ora, passa alla memoria viva della Chiesa, che piange un padre e cammina con il segno profetico che lui ha inciso.
Sebastiano Di Mauro nasce ad Acireale (CT) nel 1954 dove ha vissuto fino a circa 18 anni. Dopo si trasferisce, per brevi periodi, prima a Roma, poi a Piacenza e infine a Milano dove vive, ininterrottamente dal 1974. Ha lavorato per lunghi anni alle dipendenze dello Stato. Nel 2006, per strane coincidenze, decide di dedicarsi al giornalismo online occupandosi prima di una redazione a Como e successivamente a Milano e Genova, coordinando diverse redazioni nazionali. Attualmente ha l’incarico di caporedattore di questa testata e coordina anche le altre testate del Gruppo MWG e i vari collaboratori sul territorio nazionale.