Per la terza volta torna al Franco Parenti di Milano, lo spettacolo Oliva Denaro di cui Ambra Angiolini ne è protagonista assoluta, riuscendo a descrivere il mondo come da dietro un vetro sottile, quello che separa le possibilità concesse ai maschi dall’attesa soffocante riservata alle femmine. Repliche fino al 4 maggio, pressochè tutte esaurite.
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LA RECENSIONE
La fine è meglio dell’inizio e dell’ “intanto”. E’ la fine dello spettacolo, ma è l’inizio di una storia che sovverte, che non sopporta, che apre/sfonda luoghi comuni.
Oliva, una ragazzina siciliana, di nome e di fatto, con un grande potenziale per la sua curiosità, la sua voglia di vivere e di intrappolare quel poco che viene concesso al mondo femminile.
Due vie davanti a lei: il fratello Cosimino, libero di andare in paese, di passeggiare e scherzare con chi incontra; la sorella, Fortunata (solo di nome), chiusa nell’eremo di colui che, dopo averla violentata, ha evitato la galera, con un matrimonio riparatore, come prevedeva la Legge… “L’autore di un reato di stupro evita la condanna, sposando la vittima”. La vittima era, di fatto, obbligata ad accettare per evitare il disprezzo sociale e la vergogna di non sposare il suo carnefice (Codice Rocco del 1931- art. 544 del 1931. Verrà abrogato nel 1981, ma solo dopo 15 anni, lo stupro sarà considerato reato contro la persona).
E così, Fortunata è chiusa in casa, spesso percossa e privata anche della minima libertà. “La femmina è una brocca: chi la rompe, se la piglia”. Questo è il motto degli anni ’60 in una Sicilia che non difende le sue donne, anche piccole e fragili… Oliva risponde: “Ero più felice se nascevo maschio”.
Diventare “signorina”, cioè avere il menarca o il “marchese”, come dice Oliva, significava chiudere la propria fanciullezza per non essere derubata dell’innocenza prima e della verginità dopo.
“La donna che sorride a un uomo, ha già detto sì!”: falco accusatore sulla spalla di ogni giovane donna. La madre di Oliva lo ripete a ripetizione per imporre alle figlie una prima difesa che viene oltrepassata senza remora alcuna, senza rispetto di quella ingenuità di ragazzine che correvano tra il grano o mangiavano arance sul bordo delle strade.
Ecco! E’ anche questo. Come l’aver mangiato il frutto proibito portò tutte le conseguenze che conosciamo per Eva e Adamo, così l’aver condiviso una arancia succosa e dissetante con il figlio di una famiglia mafiosa (Pino Paternò) porterà Oliva a essere “merce desiderata” per la sua freschezza giovanile.
Lei che alleva galline con suo padre, chiamandole con i nomi dei colori; che vorrebbe pitturare il recinto di giallo per dar loro una vita luminosa e felice, viene catapultata dalla violenza e dall’abuso in un mondo privo di colore. Eppure sul palcoscenico rimangono colori chiari e sobri. La scena di Guido Fiorato rappresenta lo scorrere degli eventi: è casa, piazza, via, casette, albero d’arance, spighe di grano… ma anche luogo del rapimento, poi della reclusione e infine dello stupro di Oliva. E’ come confrontare le due realtà conviventi: Oliva maltrattata, abusata, calunniata… e di contro, un mondo che non cambia, rimane lo stesso e continua le sue giornate di sempre.
Il testo di Viola Ardone (Oliva Denaro ne è l’anagramma) è stato rivisitato dalla stessa autrice con il regista (Giorgio Gallone) e poi con Ambra Angiolini, diventando un abito perfetto dell’attrice. Il veloce passaggio degli stati d’animo di una ragazzina in corsa sono fonte di emozione per chiunque sia in sala.
La Angiolini, nel suo abito lungo azzurro (bella scelta del colore del cielo di Guido Fiorato), entra nel personaggio con tutte le sue emozioni, le sue passioni; si commuove spesso urlando il dolore della rottura, sorride e ride nervosamente quando conosce se stessa, costretta a chiudere le capacità nel recinto del ben pensare siciliano del tempo; esprime a fondo quel tormento della ragazza che trova un piccolo pensiero di desiderio e di ricerca di attenzioni verso quello stesso uomo, vestito di bianco e dal fare accattivante che poi sarà il suo carnefice.
Ambra si destreggia, occupando il palcoscenico in tutte le parti: il suo corpo è compreso nel contesto scenografico, come la sua protagonista lo è dell’ambiente che la circonda. E’ una proporzione vissuta con gli stessi elementi, in una figura di attrice che si sovrappone e incarna la figura di Oliva.
L’attenta regia rimodula l’espressività dell’attrice e la porta attraverso i momenti di vita quotidiana, fatta di frasi stereotipate della mentalità del tempo, attraverso la vita familiare condivisa o no e forte di proverbi per ogni occasione, attraverso gli sguardi giudicanti di un paese e attraverso l’esame di se stessa. Anche lo scambio di oggetti nelle sue mani parla di conflitti interiori: Ambra è padrona di ogni cosa che la circonda… Si muove, scivola, salta, corre, senza mai perdere il controllo degli spazi e dei contenuti.
E’ tutti i personaggi e ne valorizza le caratteristiche peculiari: la madre, frutto del suo tempo, rassegnata a un mondo maschilista; il padre che sostiene Oliva, anche nel suo silenzio e nella sua non belligeranza (omertà? Fino a quando?); la sorella Fortunata, nella sua reclusione, il suo carnefice, scellerato e affascinante; la complice bionda del carnefice… Ambra è tutti, ma è soprattutto Oliva, quella giovane donna che, stimolata nei pensieri dalla sua amica e compagna di scuola Liliana Calò, figlia di un padre comunista, prende decisioni folli; si carica sempre più, prende coscienza delle corde legate al suo collo da una società chiusa e ossessiva.
L’espressione “Sono favorevole, non sono favorevole” riferita al silenzio del padre, all’opinione della gente, al passaggio delle stagioni è un modo per dire “sono un essere pensante” e voglio dire la mia opinione, saltare l’ostacolo della chiusura e diventare una maestra, “la” maestra, con un ruolo educativo e non solo di insegnamento… quella maestra che porterà un vento nuovo, capace di spazzare via le nuvole dell’accettazione passiva e drammatica di una visione esclusivamente maschile.
E’ un espressione incalzante, una promozione “pre-elezioni”, una campagna a favore dell’emancipazione femminile. Qui Ambra esplode: ogni volta che pronuncia “Sono/non sono favorevole” si illumina di luce propria: non è più il riflesso della sua epoca, è una donna che sa di poter esprimere una riflessione maturata e fatta propria.
Il riferimento è a Franca Viola, di Alcamo, donna dal grande coraggio: ha detto NO, NO, NO all’accettazione dell’abuso e al matrimonio riparatore. Il suo nome non viene menzionato, ma la sua forza contro ha fatto eco a voce risonante. Ed è così che succede a Oliva: sostenuta dall’avvocato proposto da Calò, si oppone al matrimonio con il suo stupratore Pino Paternò; impugna la bandiera del riscatto sociale: “Dire di sì lo sa fare anche l’asino, il no invece costa fatica, ma quando inizi non la smetti più”, sostenuta dal padre silenzioso ma attento e amorevole verso la figlia: “Se tu inciampi, io ti sorreggo”… Già una figlia ha subito… Per Oliva sarà diverso. NO al disprezzo sociale e all’emarginazione per chi va contro l’ingiustizia. NO al marchio di disonorata. Anche Fortunata troverà la forza di uscire dalla reclusione per sostenere questa battaglia al fianco della sorella. E’ così: la guerra contro chi abusa della libertà altrui nasce dalla forza di pochi e diventa un fiume in piena, capace di distruggere ogni possibile freno.
Ambra scende tra il pubblico… individua due ragazze e con emozione dice: “L’uomo che ti ama, davanti a un tuo NO, fa un passo indietro e rispetta la tua libertà”… Ottimo prologo di una donna/attrice che ha portato l’emozione nel cuore di tutti e il desiderio di libertà in tutte/i. Il viso di Ambra non trasmette la stanchezza della recitazione a monologo, trasmette vissuto e piena capacità di entrare nel personaggio in modo profondo e personalizzato. E’ attuale e dinamico; sconfigge la metafora “gonna corta, dice sì”, spesso sulla bocca di chi quasi volesse legittimare coloro che invadono la femminilità di una donna.
La sala sempre full parla da sola!