Il nuovo Papa cambia il paradigma della politica internazionale. Trump e Zelensky si incontrano, l’Europa si muove, la tregua prende forma. E ora il leader ucraino aspetta Putin per un faccia a faccia storico.
Ieri il nuovo Pontefice ha lanciato un’altra bomba mediatica: “Pace immediata e giusta”. Una frase netta, detta con un piglio che non passa inosservato. Forte, decisa, risoluta. Come a dire: non vi lascerò scampo.
Se era facile intuire cosa volesse dire “pace disarmata” (un cessate il fuoco), più criptica era la “pace disarmante”. Ora il messaggio è chiaro: non una pace a ogni costo, ma una pace giusta. Un attacco frontale ai pacifisti di comodo, a quei capi di Stato che si illudevano di poter compiacere la nuova America e la vecchia Russia con un cinismo arrogante, mentre un popolo veniva invaso e massacrato da un despota insopportabile che risponde al nome di Vladimir Putin.
Riavvolgiamo il nastro della “Settimana della pace giusta”: Trump e Zelensky si incontrano a San Pietro e suggellano un accordo tra Ucraina e USA; gli Stati Uniti prendono le distanze da Putin; Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia vanno in Ucraina e riaprono il dialogo con Trump. L’assenza dell’Italia, e in particolare di Meloni, appare oggi un errore strategico clamoroso. Putin, nel frattempo, cerca rifugio nell’alleanza con la Cina, ma l’elezione di Leone XIV a Roma ruba la scena alla parata di Mosca.
Ora arriva la proposta che sancisce il cambio di scenario: una tregua di 30 giorni, chiesta dall’Ucraina, per dare senso ai negoziati di Istanbul. Una proposta ragionevole. Se Putin la rifiuta con i soliti pretesti, si ritroverà clamorosamente dalla parte del torto. Anche a Gaza qualcosa si muove: Israele dovrà fermarsi, perché l’orrore è ormai evidente agli occhi del mondo.
Leone XIV è un Papa interventista, farà molta politica e si muove in continuità con Francesco. Per questo piace poco ai conservatori, in Italia e altrove. Spalanca scenari inediti. Trump lo sa bene: il nuovo Papa, prima o poi, inizierà la sua “campagna d’America” per ristabilire l’ordine anche là. E allora Trump dovrà scegliere: farselo alleato subito, o affrontarlo da irriducibile rivale
Zelensky: “Aspetterò Putin in Turchia, personalmente”
E oggi, a suggello di una settimana che ha riscritto le regole del gioco, arriva l’ennesima svolta. Volodymyr Zelensky lancia il guanto di sfida diplomatica: «Aspetterò Putin in Turchia giovedì. Personalmente». Si dice pronto a volare a Istanbul per incontrare il presidente russo, rilanciando la palla nel campo del Cremlino e, al tempo stesso, evitando di contrariare Donald Trump.
Dall’altra parte, in una conferenza stampa notturna tanto inconsueta quanto carica di tensione, Vladimir Putin suggerisce un faccia a faccia tra rappresentanti di Russia e Ucraina il 15 maggio a Istanbul: un ritorno al dialogo diretto dopo oltre tre anni di guerra. Due mosse a sorpresa, una risposta che spiazza. E ora, con Zelensky già pronto a partire, resta solo da vedere se Putin avrà il coraggio — o l’interesse — di presentarsi davvero. Perché stavolta, davanti al mondo intero, nessuno potrà più nascondersi.
Sebastiano Di Mauro nasce ad Acireale (CT) nel 1954 dove ha vissuto fino a circa 18 anni. Dopo si trasferisce, per brevi periodi, prima a Roma, poi a Piacenza e infine a Milano dove vive, ininterrottamente dal 1974. Ha lavorato per lunghi anni alle dipendenze dello Stato. Nel 2006, per strane coincidenze, decide di dedicarsi al giornalismo online occupandosi prima di una redazione a Como e successivamente a Milano e Genova, coordinando diverse redazioni nazionali. Attualmente ha l’incarico di caporedattore di questa testata e coordina anche le altre testate del Gruppo MWG e i vari collaboratori sul territorio nazionale.