La ‘decima del giornalista’: è la provocazione lanciata all’incontro con la stampa dall’Arcivescovo di Milano

Milano, 27 gennaio 2018 – «Fra le notizie di cui siete a conoscenza, fate un pezzo che sia un seme di speranza e dia una buona ragione ad un giovane 18enne per desiderare di diventare grande. Vi chiedo di pagare questo piccolo pegno, un’offerta per un’alleanza volta al bene comune, un gesto che potremmo definire la decima del giornalista». Lo ha detto questa mattina ai professionisti dell’informazione l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, al termine dell’incontro per la festa del santo patrono San Francesco di Sales, rievocando un’immagine che aveva già utilizzato in termini più generali nel Discorso alla città per la festa di Sant’Ambrogio, nell’ambito del patto civico che aveva chiesto alle istituzioni.

«La decima del giornalista è uno scritto, come un’ offerta per dare gloria a Dio, o per rendere grazie per il dono di “essere capace di scrivere”, oppure per riconoscere la responsabilità di ciascuno per contribuire a edificare il futuro buono della “città”. La decima del giornalista è uno scritto che non è la pubblicità o la propaganda che dice che tutto va bene e non è nemmeno la denuncia che dice che tutto va male. La decima del giornalista è lo scritto che incoraggia, che sveglia, che apre alla fiducia. La decima del giornalista è un atto di responsabilità per aiutare un giovane a riconoscere la buona comunicazione da quella cattiva, è un gesto che apre al futuro perché mostra ai ragazzi la speranza», ha spiegato l’Arcivescovo di Milano

«Quindi ogni 10 cattive notizie, provate a scriverne una buona e inviatela all’Arcivescovo. Per me sarà preziosa e farò in modo di condividerla con i diciottenni, attraverso tutti coloro che nelle scuole, negli oratori e nei gruppi stanno con loro», ha proposto mons. Delpini.

Precisando meglio la proposta, l’Arcivescovo ha aggiunto: «Immaginate di scrivere a un diciottenne di oggi. I testi dovranno essere firmati, con un recapito dell’autore, dovranno essere lunghi al massimo 1800 caratteri, la misura della vecchia cartella dattiloscritta. Questi testi devono avere per oggetto un fatto positivo accaduto in città in un qualsiasi ambito, in quello in cui ogni giorno lavorate (cronaca, costume, economia, politica, moda, sport…). Gli articoli dovranno cioè essere dei buoni racconti capaci di mostrare il lato positivo delle situazioni che i professionisti dell’informazione nel loro lavoro quotidiano incontrano. Contro il principio che solo le cattive notizie sono notizie, i buoni racconti saranno pillole di speranza.   Dovranno essere recapitati alla mail comunicazione@diocesi.milano.it entro il  31 gennaio, festa liturgica di San Giovanni Bosco, il grande educatore».

Nella tavola rotonda l’Arcivescovo ha posto una serie di domande a Tiziana Ferrario, volto del Tg1 Rai, Marco Alfieri, caporedattore responsabile web de Il Sole 24 ore e Daniele Bellasio, caporedattore esteri de La Repubblica, che ha introdotto e condotto la conversazione, al presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Alessandro Galimberti.

Le domande hanno riguardato il futuro della professione di fonte alle nuove sfide tecnologiche, il diritto del cittadino a essere correttamente informato ma anche il suo dovere a cercare l’informazione corretta, l’indipendenza dell’informazione, il suo ruolo civile e la capacità di dare della realtà una rappresentazione autentica e non scandalistica.

«Se la professione è in crisi non è solo perché sono arrivati i social media ma anche perché per troppo tempo non ci siamo fatti un esame di coscienza. In America la vittoria di Trump nelle ultime elezioni ha messo sotto accusa i grandi giornali perché avevano sbagliato le loro previsioni, dando per vincente la rivale Hilary Clinton. A questa sferzata i gradi gruppi editoriali hanno reagito. Oggi il New York Times ha aumentato il numero di lettori puntando sulla qualità. Dobbiamo essere più trasparenti, fare capire il lavoro che c’è dietro alla costruzione della notizia, aprire un dialogo con i lettori e aumentare il numero di giornalisti sul campo», ha proposto Tiziana Ferrario.

«Per 200 anni, noi giornalisti, siamo stati i sacerdoti delle notizie, da 15/20 anni a questa parte il monopolio che avevamo delle notizie si è scalfito. Nuovi attori sono scesi in campo, non solo le piattaforme. Tutti noi siamo produttori e fruitori di informazione. Questo ha creato nei professionisti un problema d’identità. Ma l’elaborazione del lutto sta prendendo forse troppo tempo. Bisogna fare un po’ di autocritica e non fare come quelle piccole imprese italiane che, quando la Cina entrò nel mercato, si lamentarono per l’invasione di prodotti di bassa qualità. Il meglio del Made in Italy ce l’ha fatta, alzando il valor aggiunto delle sue produzioni. Quello che devono fare i giornalisti e alzare la qualità dei contenuti», ha osservato Marco Alfieri.

«La stampa potrebbe svolgere la funzione di certificare le notizie autentiche. Potrebbe essere il motore di ricerca intelligente, non solo matematico, dell’ informazione. Perché inventare un software per segnalare le fake news? Non potrebbe essere proprio questo il compito dei professionisti dell’informazione?», ha suggerito Daniele Bellasio.

Nei saluti iniziali dal presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Alessandro Galimberti è arrivata la proposta di far pagare ai colossi del web le notizie prodotte dalle aziende editoriali.

«Le notizie vere hanno un costo di produzione e questo costo deve essere pagato, se non più dagli utenti, dall’intermediario digitale che su quei contenuti da anni produce redditi miliardari (Google e  Facebook su tutti), peraltro di quasi impossibile tracciabilità fiscale”», ha fatto presente Galimberti.

«I motori di ricerca e i social network guadagnano soldi dalla profilazione dei loro utenti. Non solo, più una notizia è “sparata”, più è falsa più fa click, e più si fanno click più guadagna soldi chi la scrive, attraverso la premialità dell’advertising gestito dai soliti 2 o 3  big . Sul web è ormai inderogabile avere regole e leggi internazionali condivise, altrimenti il rischio per le democrazie e per il libero pensiero, lasciato in mano a tre o quattro monopolisti della rete, è davvero elevato», ha sottolineato il presidente  dell’Ordine.