Sdisorè di Giovanni Testori: un’arte interpretativa a tratti struggente, a tratti ambigua e sagace, catalizza il pubblico

Entrare nei chiostri del teatro Fontana è già un incipit di qualcosa di profondamente artistico e ricco di emozioni. Poche persone: numero chiuso a 50 spettatori, vicini, vicinissimi allo spazio dove si troveranno odio e rancore, storia ed epica, famiglia e distruzione…Sta per andare in scena Sdisorè di Giovanni Testori.

Per altre informazioni sullo spettacolo, date orari e prezzi, vedi il nostro articolo di presentazione.

LA RECENSIONE
Una scenografia minimal, svelata a piccole tappe. Un banco da trucco, alcune piccole pozze d’acqua e pochi effetti personali, ognuno simbolo rappresentativo di un personaggio: la corona condivisa da Agamennone e, indebitamente, da Egisto ; un telo colorato, quale copricapo di Elettra; occhiali da vamp, degni della sfrontata Clitemnestra; una spada , a volte fallica, portatrice
del furore di Oreste.


Sdisorè”, rivisitazione audace e catalizzante dell’ “Orestea” di Eschilo, non perde un colpo degli elementi salienti dell’opera originale. Clitemnestra ha assassinato il marito Agamennone per vendicare Ifigenia, loro figlia, sacrificata sull’altare di Artemide. Oreste ed Elettra, figli degli stessi
genitori, si alleano per sopprimere Clitemnestra ed Egisto, suo nuovo amante. Il legame d’odio e rancore è lampante ed esce dagli scambi di personaggio veloci, a staffetta, di anelli che si chiudono
attorno a vite spaccate dal desiderio di vendetta.

Michele Maccagno, unico attore istrionico, immerso da un gioco delle parti che lo vede come espressione di ogni personaggio: è Clitemnestra dalla voce graffiante e dura, seduttiva, millantatrice: è Elettra, donna dal velo costante che copre un capo che pensa alle morti familiari e
“vomita” sentenze con una voce che potrebbe sembrare triste e mansueta, ma che annega nella rabbia e nella frustrazione di sé; Oreste, uomo ardito, tornato in una patria deturpata dai sotterfugi. Escono da soli, attraverso i loro simboli, ma anche insieme nella simulazione di un amplesso tra due interpreti disegnati sulle ginocchia.


Due accompagnamenti attraggono e coinvolgono:

la musica da pianoforte, presente sul palco come elemento non solo d’arredo ma anche strumento
di simbiosi col dramma… Grazie a Emanuele Nidi, per la composizione e la realizzazione di parti musicali struggenti e armoniose anche nei momenti ironici e allegorici;

la lingua parlata: un mix di dialetto lombardo, citazioni latine, parole inventate e concatenate in modo cantilenante nel correre veloce del monologo. Qui spicca l’eccellenza di Maccagno, diretto e trattenuto nelle diverse parti dalla regia di Gigi Dall’Aglio.

Un’arte interpretativa a tratti struggente, a tratti ambigua e sagace… personaggi diversi, sembianze diverse, voci diverse… esplodono insieme in un unico leitmotiv: può la vendetta portare a dimenticare l’odio, ma anche l’amore? Può la morte rispondere agli interrogativi esistenziali della vita?

Uno spettacolo da seguire con attenzione e ricerca di comprensione di tutti gli elementi che oltrepassano la mera razionalità e raggiungono l’immaginario