Teatro Filodrammatici – La Storia a Processo! La giuria popolare si è espressa: Cesare Beccaria è innocente!

Milano, 16 ottobre 2023 –Dopo un’entusiasmante apertura di stagione suggellata in mattinata dal tutto  esaurito dell’iniziativa Dialogando con la Costituzione con la lectio di Marta Cartabia e la moderazione  di Umberto Ambrosoli. il format La Storia a Processo!, ideato e curato da Elisa Greco è entrato nel vivo  con il processo a Cesare Beccaria.

Cesare Beccaria è innocente.

Questo è il verdetto finale espresso a larga maggioranza dalla giuria popolare ieri sera al Teatro  Filodrammatici. “Un Processo e un verdetto, commenta l’autrice Elisa Greco che ha centrato  l’attenzione sul Paradigma Beccaria cogliendone tutti gli elementi innovativi e che potremmo definire  visionari, ma anche soffermandosi su ombre e nodi irrisolti del suo pensiero con un pubblico  partecipativo e interessato che ha seguito attivamente lo svolgersi del dibattimento”  


Significativo il verdetto nelle parole del Presidente della Corte Fabio Roia, Presidente Vicario del  Tribunale di Milano: “L’imputato è stato assolto con 96 voti a favore e soli 17 contrari. La giuria ha  ritenuto che Cesare Beccaria abbia cominciato un percorso di riforma del senso della Giustizia che poi  altri avrebbero dovuto completare e realizzare completamente. La sua è stata una visione illuministica  che ha tentato di mettere al centro la persona con i suoi diritti compressi. 

La rivisitazione del pensiero e della proposta di Cesare Beccaria ha consentito di richiamare la storia per  affermare la necessità di una Giustizia non violenta, adeguatamente sanzionatoria in una prospettiva di  rieducazione ed autonoma rispetto ad una aspettativa sociale non sempre soddisfatta dalla risposta  della giurisdizione. Si tratta di un’operazione culturale dotata di grande attualità per riflettere sui rischi  di pericolose derive esclusivamente punitive”. 


Sul palcoscenico del teatro si sono confrontate le tesi contrapposte dell’accusa e della difesa, con Ferruccio de Bortoli che ha evocato il pensiero filosofico di Beccaria con ironia ed eleganza,  destreggiandosi tra riferimenti al presente e alla storia dell’imputato. A sua volta l’’Avvocato penalista  Roberta Guaineri, nel ruolo del Pubblico Ministero, con piglio deciso e rigoroso, ha cercato di  dimostrare la colpevolezza dell’imputato mettendo in luce l’inapplicabilità storica delle tesi giuridiche  di Cesare Beccaria in tema di pena di morte, tortura e diritto alla proprietà, anche grazie alla  testimonianza di Corrado Del Bo’, Professore ordinario di filosofia del Diritto dell’Università di  Bergamo. L’Avvocato penalista Umberto Ambrosoli ha difeso Cesare Beccaria con passione, grazie  anche all’intervento di Alessandro De Nicola, Avvocato, Presidente de “The Adam Smith Society” nelle  vesti di Pietro Verri, che ha ricordato il talento da comunicatore dell’amico e sodale Beccaria. .Toccante  il riferimento di Ambrosoli ai corpi dei dissidenti iraniani giustiziati ed esposti come monito, a riprova  dell’assoluta inutilità della pena di morte espressa dal Beccaria.

Inoltre, come consulente della Corte, è intervenuto, in collegamento da Parigi, uno dei massimi esperti a livello internazionale di Cesare Beccaria, Philippe Audegean, Professore ordinario Dipartimento di  Filosofia Sorbonne e autore del libro Violenza e Giustizia. Beccaria e la questione penale per illustrare  l’importante legame tra l’Illuminismo francese e il pensiero filosofico di Cesare Beccaria.

A chiusura del dibattimento è stata chiamata sul palco Giulia Beccaria, interpretata da Giovanna Salza,  founder e A.D. di Ca’ Zampa, che ha ricordato la totale assenza e inaffettività di Cesare Beccaria come  padre per porre il dubbio sulla sua buona fede sui temi giuridici che ha portato alla luce.

I capi di imputazione a carico di Cesare Beccaria nato a Milano il 15 marzo 1738, imputato:

Dell’illecito di cui all’articolo 661 codice penale perché, sfruttando la fama acquisita attraverso i suoi  scritti, in particolare con la pubblicazione del libro “Dei delitti e delle pene” – oggetto del presente  processo – ritenendolo fondamentale per lo sviluppo di una politica criminale e determinante per una  progettazione legislativa, affermava con vigore la necessità che le teorie politiche-filosofiche non si  limitassero ad interpretare la realtà, ma concretamente la trasformassero e ingenerava in un numero  indeterminato, ma comunque elevato, di persone, l’erronea convinzione che per pervenire alla  realizzazione della Giustizia nella società: i) lo Stato, inteso nel complesso delle sue strutture, dei suoi  apparati e delle sue istituzioni non potesse più esercitare alcun potere sugli uomini, passando “dal  governo degli uomini al governo delle leggi”; ii) la Magistratura non avesse potere di interpretazione  delle leggi, ma solo di applicazione (ideale irraggiungibile e contrario ai principi giuridici); iii) in molti casi il delitto non dovesse essere considerato come “danno sociale”, per esempio il furto è qualificato  come “il delitto della miseria e della disperazione di quella infelice parte di uomini a cui il diritto di  proprietà (terribile e forse non necessario diritto) non ha lasciato che una nuda esistenza”; iv) nessuna  considerazione dovesse essere svolta a favore delle persone offese dai reati.


Attraverso le sue idee fomentava un disordine dell’Organizzazione sociale dell’epoca e soprattutto  attraverso i suoi scritti voleva dare un’impronta del tutto diversa alla società nel suo insieme, portando  avanti temi che ancora oggi non hanno trovato fondamento, quali ad esempio la limitazione della pena  di morte, che non è certo scomparsa, o della tortura, che ha conosciuto un incremento in questi anni.

Condotte commesse tra Livorno e Londra, dal 1764 (luogo di pubblicazione della prima edizione  anonima del libro “Dei Delitti e delle pene”) al 1766 (quando il testo fu tradotto in francese e  pubblicato sempre a Livorno) e successivamente revisionato nel 1774 con l’indicazione “Londra 1774”.

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