Recensione de ‘Il seme della violenza’: spettacolare, coinvolgente, emozionante! Al Teatro Elfo Puccini solo fino al 5 febbraio

Il seme della Violenza

Lo spettacolo  “Il seme della violenza The Laramie project” di Moisés Kaufman e dei membri del Tectonic Theater Project è in scena fino al 5 febbraio al Teatro Elfo Puccini di Milano per la regia  Ferdinando Bruni e Francesco Frongia – traduzione Emanuele Aldrovandi, con Margherita Di Rauso, Giuseppe Lanino, Umberto Petranca, Marta Pizzigallo, Marcela Serli, Nicola Stravalaci, Umberto Terruso, Francesca Turrini.  Produzione Teatro dell’Elfo, Fondazione Campania dei Festival in collaborazione con Festival dei Due Mondi di Spoleto.

Per altre notizie sullo spettacolo, trama, date oreai e prezzi, vedi il nostro articolo di presentazione.

LA RECENSIONE
La palestra “basica” di una scuola. Un campo da basket/pallavolo segnato per terra, 2 piccole gradinate per gli spettatori; armadietti da spogliatoio e pochi dettagli. E’ un semplice ambiente quello che accoglie 8 personaggi, anzi persone, che in realtà sono 80, 800, 8000, 80000… sono singole voci e cori che si innalzano insieme: un mondo che si esprime attraverso di loro.

Una regia scrupolosa e attenta (grazie a Ferdinando Bruni e Francesco Frongia) dirige l’alternanza di ruolo degli attori, capaci di entrare, esprimersi, catalizzare l’attenzione, per poi arretrare e cambiare posto e dinamica… esemplare strategia per dare effetto a ogni parola.

I tempi narrativi sono scanditi da una successione di argomenti, sotto forma di intervista, che rendono vicine storie lontane e parlano un linguaggio quotidiano, familiare. Per prima, la descrizione della vita tranquilla e condivisa degli abitanti di Laramie, luogo dove tutti vorrebbero stare, dove tutti vorrebbero tornare o che rimpiangono… qui anche i genitori più apprensivi possono lasciare fuori i propri figli anche alla sera, perché tutti (proprio tutti?) sono brave persone e sanno crescere figli perbene. La natura fa da cornice a questo ambiente rassicurante.


Ecco che inizia la staffetta degli attori:
ognuno presenta parti di una società racchiusa in uno status benevolo e rispettoso delle persone e delle circostanze.

Qualcosa succede… uno scoppio emotivo che rompe l’equilibrio; nessuno dice, nessuno vorrebbe credere a un evento così traumatico: Matthew Shepard, 21 anni (sembra più giovane), esile, minuto e omosessuale è morto… non di morte naturale o di malattia o di incidente stradale ; è stato ucciso dalla violenza di 2 ragazzi, violenza fatta di botte, di parole, di colpi inferti con odio e cattiveria, di freddo dopo essere stato abbandonato nella notte buia… proprio quella oscurità che Matthew ammirava per le luci riflesse in un cielo blu.

Ora è “una città definita in un crimine”, dicitura veritiera che appare sugli schermi posti sul fondo del palco: sono strumenti che collegano il tempo di questa assurda morte con il tempo prima e dopo: un ponte tra passato, presente e futuro… le immagini del recinto dove il “giovane gay in un paese di cowboys” è stato massacrato, del suo viso contrito in ospedale, della neve al suo funerale, sugli schermi e sul palcoscenico…  reale, tangibile, fredda, abbondante, quasi volesse coprire quel crimine!

Altre interviste, altri dibattiti e, come si conviene a una America pluralista, un incontro tra religiosi: un prete cattolico, un mormone e un pastore battista… chi accusa, chi giudica, chi condanna, chi assolve l’omosessualità; e poi la ragazza musulmana colma uno spazio ideologico e opinionista.

Tornano figure già viste e sentite: le stesse del paese tranquillo. Ora sono turbate, incredule. La madre di chi ha soccorso il povero ragazzo coperto di sangue urla una disperata paura: sua figlia ha toccato quel sangue sporco di HIV; si teme il peggio… i guai non vengono mai da soli! Per lei la storia è a lieto fine: la negatività riporta la pace. Quante storie all’interno di questo incubo: alcuni parlano per obbligo sociale, altri tacciono per lo stesso motivo, ma una voce supera le altre e racchiude il focus de “il seme della violenza”: non è contro donna o uomo; non è omofoba, contro gay e lesbiche; non è contro gli ebrei o etnie diverse. E’ violenza in senso assoluto, che si esprime andando oltre un motivo, se questo possa bastare per ammazzare, perseguitare, torturare e togliere la dignità. E qui entra in gioco Dio, nominato (invano e no) così tante volte, da far pensare a cosa ne possa pensare. C’è chi dice e scrive su grandi cartelli che Egli odia i gay e che li punisce, ma risponde quella parola che molti conoscono. “Dio odia il peccato ma non il peccatore”… allora l’omosessuale pecca? Chi dice sì, chi dice no. Ma qui non si tratta di una violenza riservata, ma di violenza che si manifesta contro tutto ciò che non si accetta, anche se non lo si conosce!

Spettacolare, coinvolgente, emozionante il corteo contro la violenza: non solo cartelli, ma ali di angelo, grandi ali, quelle che proteggono e riparano da tante barbarie.

E si alzano le note di “Amazing grace”… allora c’è speranza anche per quei derelitti degli assassini, per quei genitori che non perdoneranno, per Mattew per il quale si è pregato che potesse arrivare al cospetto di Dio? E’ ricerca di qualcosa in cui credere che vada oltre quella violenza che non nasce dal nulla, ma da quel seme che coltiviamo in un terreno di pregiudizio, di intolleranza, di prepotenza e discriminazione. Non si può definire banalmente “spettacolo”: è arte, teatro che insegna, che fa pensare e decidere di cambiare posizione. Uno scorcio di società che a volte ci rifiutiamo di osservare con occhi attenti per la paura di trovarci dentro.

 

Foto di Laila Pozzo