Recensione de ‘Il Mercante di Venezia’: tra commedia e tragedia – in scena al Manzoni di Milano fino al 19 maggio

Ha debuttato lo scorso  martedì 7 maggio al Teatro Manzoni di Milano, il nuovo allesstimento de “Il Mercante di Venezia” prodotto da Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Centro Teatrale Bresciano e  Teatro de Gli Incamminati, tratto dall’opera di  William Shakespeare, tradotto da Masolino D’Amico e diretto da Paolo Valerio.

Lo spettacolo replica fino al 19 maggio 2024.

Per altre info, cast, date, orari e prezzi,  vedi articolo di presentazione.

Il Mercante di VeneziaLA RECENSIONE
Il sipario si apre sulla depressione del ricco mercante Antonio (Piergiorgo Fasolo), anche se i motivi che l’hanno provocata rimangono irrisolti…

Eh, sì, il regista Paolo Valerio l’ha sottolineato più volte: si tratta di una commedia, presentando la sua versione  “molto particolare” de “Il mercante di Venezia”. Infatti, uno alla volta si susseguono le situazioni problematiche che costruiscono l’impalcatura del testo, per giungere tra amori, intrighi, giochi, astuzie e raggiri al tipico “lieto fine”. E questa commedia, come spesso accade, è in mano alle donne!

L’arrivo di Bassanio (Stefano Scandaletti), giovane esuberante e tanto spendaccione da sperperare ogni suo avere, apre un’altra situazione da risolvere: come avere denaro sufficiente per essere un affidabile pretendente alla mano della bella e ricca Porzia (Valentina Violo)? Lei stessa  è, per di più, vincolata per la scelta del giusto consorte,  alla soluzione di un gioco inventato dal padre con indizi enigmatici contenuti in tre scrigni: uno d’oro, uno d’argento e uno di piombo.

Antonio si fa subito avanti per sollevare il suo caro (quanto caro?) amico Bassanio, al quale non negherebbe nulla,  arrivando addirittura alla decisione di chiedere un prestito all’ebreo Shylock (Franco Branciaroli), usuraio e maledetto da tutti per la sua figura provocatoria e detestabile.

L’ingresso di questo personaggio cambia il ritmo della commedia: i toni diventano più cupi e la Venezia vista attraverso il commercio che si muove sulle navi di Antonio e sulle battute degli amici di Bassanio che organizzano feste e incontri mondani, diventa grigia e dura come l’odio di Shylock per i cristiani che prestano i soldi senza interessi, che lo chiamano cane e lo insultano. Ci aspetteremmo un’entrata mesta di un uomo così reietto… invece no; è arrogante, aggressivo, fieramente molesto. E’ un personaggio spietato e dedicato alla vendetta e, nel procedere dell’opera, vorrebbe che diventassimo suoi complici per mettere a segno  colpi nefasti contro la società che lo condanna a una vita solitaria e offesa. Appare e si nasconde grazie alle aperture e chiusure della struttura della casa, che, utilizzando piani sovrapposti e un sistema di ante scorrevoli, separa i vari ambienti, sia esterni che interni (grazie a Marta Crisolini Malatesta, Monica Codena per le scene e Gigi Saccomandi per le luci).  Dal balcone, si affaccia la sua bella figlia Jessica (Veronica Dariol), stanca di subire la discriminazione dell’antisemitismo e i modi sgarbati del padre, progetta la fuga, con tanto di bottino (2000 ducati, gioielli e l’anello che la moglie defunta aveva donato a Shylock), con il fidanzato Lorenzo ( Lorenzo Guadalupi), amico di Bassanio e Graziano (Giulio Cancelli), quest’ultimo innamorato di Nerissa (Mersila Sokoli), serva, amica e complice di Porzia.

La commedia è servita: non mancano gli ingredienti necessari per essere gradevole, accattivante e frivola, con tre coppie di amanti che giocano con le parole e i corteggiamenti. Non mancano le sfilate dei possibili pretendenti di Porzia, che uno dopo l’altro vengono messi alla prova, ridicolizzati da Porzia stessa e dalla sua sostenitrice Nerissa. Solo Bassanio, scegliendo lo scrigno giusto, potrà avere in sposa la bella ereditiera.

Ma c’è Shylock: lui è un ebreo cattivo, anzi è un uomo cattivo, per non identificare tutta la stirpe ebraica con la sua cattiveria e la sua inaccettabile usura. Con lui si apre un sipario sulla tragedia: parla di antisemitismo, di persecuzione, di intolleranza, di sopravvivenza forzata dalla storia. Lui, così sgradevole e complesso riesce a guadagnare la compassione di chi lo guarda muoversi goffamente, coperto da abiti scuri e logorati dall’avarizia e dal dolore della vendetta e dell’odio. Una interpretazione piena di pathos, con voci e intonazioni che scorrono sulle parole, dando a esse una connotazione sempre più incalzante e penetrante. Franco Branciaroli è parte integrante del suo personaggio; si cala nella profondità della sua conoscenza per dare corpo a una immagine poliedrica e catalizzante.

L’attenzione di Shakespeare è rivolta a un pubblico che, in Inghilterra, ha una visione negativa del mondo ebraico. E’ già stato messo in atto l’Editto di espulsione degli ebrei dal bacino del Mediterraneo ad opera di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. Il Portogallo ha allontanato con la forza tutti coloro che non si convertirono al Cristianesimo e rimasero fedeli al popolo d’Israele. Essi andarono in Olanda, dove portarono un picco nell’economia, soprattutto mercantile e marittima. La chiusura è la stessa in altri paesi europei e, in Italia, si impongono i ghetti, affollati tanto da crescere alzando i piani delle abitazioni, dato che non si poteva allargare il confine perimetrale assegnato.

Shylock è frutto di tutto questo e il regista e direttore Valerio fa filtrare un salvataggio di questa figura miserrima che, nel tempo di produzione dell’opera (tra il 1596 e il 1597) sarà stato deriso e schernito da un pubblico influenzato dalle correnti sociali e religiose.  Anche il particolare del servo Lancillotto (Mauro Malinverno) che lascia il padrone ebreo e si fa assumere dal cristiano Bassanio sottolinea il pregiudizio ebreo/peggiore, cristiano/migliore.

Inizia il confronto: Antonio che chiede il prestito sicuro di sé e della tempistica di restituzione, sfida Shylock a motivo degli interessi che solitamente chiede ai debitori. La controproposta è assurda: una libbra della carne di Antonio, tagliata vicino al cuore, in caso di mancato pagamento.  Ecco il dualismo ricorrente tra denaro e vita, tra valori e scelleratezza. L’ebreo calcola il rischio d’impresa: le navi sono solo legni, i marinai sono uomini, ci sono gli scogli che possono danneggiare le imbarcazione, c’è il vento che può sbatterle dove vuole;  rimarrà sulla sua posizione, sperando nella disgrazia economica di Antonio e definendo la sua clausola “è solo per sport”.  Il mercante  prenderà troppo alla leggera una questione di vita o di morte. “Prestami i soldi come se fossi tuo nemico”: rimarrà nella sua pozione, definendo l’ebreo cane e sentendosi  libero di sputargli ancora addosso.

Tutto corre veloce… gli amori si scaldano in promesse e donazioni; Porzia e Nerissa scherzano  e se la ridono, Graziano salta e balla, i frequentatori della piazza continuano la trasmissione di notizie buone e cattive.

La tragedia incombe: le navi non arrivano a destinazione, i guadagni di Antonio svaniscono, la data della restituzione è arrivata… Il pezzo di carne va prelevato e servirà come esca per i pesci.

Entrano in gioco le donne, in pantaloni! (grazie alla finezza di Stefano Nicolao). Porzia si finge avvocato (Baldassare), con Nerissa suo segretario, portatori di una lettera di Bellario di Padova da presentare al Doge. La scaltrezza di Porzia sta nel caldeggiare l’ebreo nella sua ferma decisione di volere la riscossione di quanto pattuito, con affermazioni mirate e strategiche: “Non c’è potere a Venezia che possa modificare una legge stabilita”, “L’impegno è scaduto e, in base ad esso, l’ebreo può legittimamente esigere una libbra di carne”. Shylock è gonfio del suo io scellerato… attende il momento dell’espianto, ma Porzia/avvocato lo uccide con una precisazione: “Questo contratto non ti assegna una sola goccia di sangue”. Il gioco è finito. L’ebreo è sconfitto e Antonio è salvo, per l’impossibilità a procedere nella pratica chirurgica, senza provocare l’uscita del sangue. Valentina Violo, nel doppio ruolo di Porzia e Baldassare esprime brillantemente la sua versatilità. Un intercedere lento mentre ordisce piani contro i pretendenti, diventa incalzante nell’arringa contro Shylock. È sempre attenta, sul pezzo, espressiva e scattante nei movimenti. Grande leader di una squadra di donne decise e combattive.

L’aggancio alla commedia  avviene tramite i due anelli che l’avvocato e il segretario chiedono rispettivamente a Bassanio e a Graziano, anelli che le donne ora mascherate in altro ruolo avevano regalato ai loro amati con la raccomandazione di non privarsene mai.

Le donne hanno salvato la situazione  e gli uomini collegati, tranne uno: Shylock. Tristezza infinita nel sentir dare più valore ai suoi averi che alla sua stessa vita… ma come non comprendere tutto questo!! Gli ebrei spesso hanno avuto salva la vita pagandola in denaro, oro (persino i denti che avevano impiantati in bocca), gioielli di famiglia. Shakespeare non poteva sapere quanti ebrei sarebbero riusciti a fuggire dalla Shoah, grazie ai loro averi; molti hanno patteggiato per se stessi e per altri, sempre “pagando la vita”. La condanna per Shylock è tremenda: la conversione al cristianesimo per aver salva la vita e gli averi.

Il finale è superlativo: tutti gli attori si muovono su se stessi e formano un percorso circolare, simulando un carillon. Come non pensare che ciascuno di noi giochi la propria vita nel suo spazio, ma, alla fine giriamo insieme in una sorta di pista fatta di commedia e tragedia. Ciascuno ha un privato e un pubblico da gestire in modo autonomo e collettivo.

Uno spettacolo forte, ad ampio spettro: i riferimenti all’attualità sono presenti a ogni battuta. Temi etici come il valore della vita, l’etica comportamentale, l’amicizia, l’amore sono chiave di lettura di una composizione letteraria e teatrale di altissimo livello.

L’impronta antisemita che spesso viene imputata dai critici a questa commedia, potrebbe essere sfatata da un monologo di Shylock :Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni? Non si nutre egli dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano? Non viene ferito forse dalle stesse armi?Non è soggetto alle sue stesse malattie? Non è curato e guarito dagli stessi rimedi?….”

L’eco della parità, dell’assenza di discriminazione dovrebbe essere un canale di etico anche per questi giorni.

Caldamente consigliato per l’eccellenza degli attori e per la puntuale precisione di tutti gli operatori che hanno saputo valorizzare un testo non facile, in modo diverso e completo.